La forma del gusto: come l’etichetta guida la scelta

Design, strategia, percezione sensoriale… L’etichetta di una bottiglia è diventata molto più di una semplice questione di packaging. Veicolo di significati, racconta una storia, influenza e fa vendere.

Sommario:

  • Un segno distintivo… antico come il vino
  • Fattore di acquisto e strumento di espressione di un’identità
  • Identificare il proprio target, parlare in modo giusto
  • Tra ricerca di senso e natura
  • Innovazione strategica

Un segno distintivo… antico come il vino

Ancor prima della comparsa delle prime etichette cartacee, nel XVIII secolo, i commercianti di vino promuovevano già il contenuto delle loro giare. Al Museo del Louvre, un frammento risalente all’epoca di Ramses II (-1279-1213), rinvenuto in Egitto, indica l’origine del vino che conteneva. Oggi le etichette non si limitano a fornire informazioni, ma catturano lo sguardo e guidano la scelta del consumatore. Secondo un sondaggio condotto da Opinion Way per i Vignerons Indépendants (2023), sette Francesi su dieci considerano l’etichetta un criterio importante per l’acquisto. Un recente studio della Washington State University rivela, inoltre, che il design influenza le nostre percezioni e la scelta di acquisto.

Fattore di acquisto e strumento di espressione di un’identità

Le consumatrici americane intervistate preferivano etichette con codici visivi cosiddetti femminili: fiori, volti, ecc. “Si aspettavano anche una migliore esperienza sensoriale complessiva ed erano più propense ad acquistare il vino”, osserva Ruiying Cai, autrice principale dello studio. E questo vale anche per le più esperte: “L’influenza di questi segnali di genere era così forte da superare persino la conoscenza del prodotto”, aggiunge Christina Chi, coautrice dello studio. In un test alla cieca, lo stesso vino è stato percepito come fruttato e dolce con un’etichetta femminile, e più minerale con una versione maschile. “L’etichetta è un vero e proprio strumento di espressione di un’identità. Così come la applichiamo sulla bottiglia, la applichiamo simbolicamente a ciò che il vino rappresenta, che è molto più di un prodotto”, conferma Sophie Javel, cofondatrice di Exceptio, uno studio di design specializzato in vino e bevande spiritose, con sede a Gradignan (Francia).

Identificare il proprio target, parlare in modo giusto

Primo contatto visivo con il consumatore, l’etichetta è un marcatore pensato per riflettere l’unicità del prodotto. “L’etichetta implica coerenza tra ciò che si vede e ciò che si beve e fa parte di una più ampia strategia di comunicazione globale. Si tratta di raccontare senza necessariamente inventare: fare storytelling non significa inventare storie, ma dare un significato a ciò che facciamo”. L’etichetta giusta deve quindi parlare al pubblico giusto, nel modo giusto. “Bisogna definire il proprio target e rispettarlo. L’etichetta non sarà la stessa per un vino tradizionale, ricco di storia, rispetto a una cuvée giovane, più accessibile e destinata al consumo quotidiano”, insiste Sophie Javel. Il tono, i colori, le forme e la tipografia devono essere adattati anche al punto vendita: enoteche, supermercati, ecc.

Tra ricerca di senso e natura

Un grand cru può giocare la carta della fantasia? Un vino naturale può vestirsi in modo classico? La risposta è sì, ma con finezza. “Al di là degli effetti di moda, la libertà grafica si esprime all’interno di parametri chiari per i consumatori, che si sono soprattutto stancati della mancanza di significato. Quando un’etichetta è davvero riuscita, trasmette qualcosa di giusto. Racconta cosa c’è dentro la bottiglia, come è stata realizzata e con quale intenzione, che sia colorata o minimalista”. Un’altra tendenza è la crescente consapevolezza ecologica. Ma attenzione alle semplificazioni. Essere responsabili non significa necessariamente scegliere carta riciclata con un’impronta carbonio discutibile. “La vostra filosofia principale è quella di essere virtuosi o… di fare un buon prodotto tenendo conto di un certo numero di parametri?”, chiede Sophie Javel, citando varie opzioni: carta più sottile, inchiostro a base d’acqua, nessuna doratura, etichette facilmente rimovibili e forme di bottiglie che consentono il riciclaggio. Una sobrietà a volte invisibile, ma coerente. Anche il linguaggio visivo sta evolvendo: meno rappresentazioni dei tradizionali   châteaux, soprattutto nella regione di Bordeaux, e più paesaggiper collocare la vite in un ecosistema e mostrare che è radicata in un ambiente vivo”.

Innovazione strategica

La tecnologia è parte del packaging: codici QR obbligatori per le nuove informazioni normative, spesso abbinati a un codice QR più narrativo che conduce a un sito web, realtà aumentata, ecc. Ma questi usi rimangono marginali. “Il legame tra l’etichetta fisica e la tecnologia digitale diventerà senza dubbio più forte. Tuttavia, la modernità non si trova più nell’innovazione tecnica, ma nella combinazione intelligente di elementi che rendono il tutto significativo“, conclude Sophie Javel. L’innovazione sta diventando una questione di assemblaggio, proprio come il vino stesso, e le etichette oggi cristallizzano questioni che vanno ben oltre la semplice presentazione del prodotto. Non voltano le spalle alla tradizione ma la aggiornano tenendo presente le nuove aspettative: più significato, più sincerità, più responsabilità. Alcune aziende ne hanno fatto un’arte a sé. Dal 1945, ogni anno Château Mouton Rothschild affida l’etichetta della sua nuova annata a un artista diverso. Per l’annata 2022, Gérard Garouste ha accettato la sfida. Oggetto da collezione e strumento di marketing, un semplice rettangolo di carta a volte vale più di mille parole.

Florence Jaroniak. © Taka/AdobeStock

Maggiori informazioni:

https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010073861

https://news.wsu.edu/press-release/2024/10/01/women-more-likely-to-choose-wine-with-feminine-labels

Un’esperienza enologica di alto livello

Strumento strategico per le compagnie aeree, la carta dei vini serviti in classe premium diventa sempre più prestigiosa. Questo mercato in espansione mobilita ingenti investimenti, offrendo nuovi orizzonti a diverse cantine.

Sommario:

– Uno strumento di seduzione in quota

– Un salto di qualità continuo

– Un mercato in piena espansione

– Strategie viticole ambiziose

– Formazione e competenza

Uno strumento di seduzione in quota

Sedili reclinabili, luci soffuse: in prima classe, la hostess si avvicina per offrire un drink. Champagne, naturalmente. Dal dicembre 2024, Singapore Airlines serve il Cristal 2015, frutto di un accordo con la maison Louis Roederer, mentre Emirates, fedele alla sua partnership di 33 anni con Moët Hennessy, detiene i diritti esclusivi di otto annate eccezionali. Sono finiti i tempi in cui l’offerta in volo si limitava a panino e bibita: già nel 1927, Air Union – poi parte di Air France – portò un’innovazione sulla rotta Parigi-Londra introducendo un servizio gastronomico degno dell’Orient-Express. Da allora, il vino è diventato una firma dei viaggi d’alta gamma. Air France ha progressivamente affinato la sua selezione, ricorrendo alla competenza di enologi indipendenti già negli anni ’60. In seguito, ha affidato ai suoi champagne e alle sue cantine la scelta dei vini. In seguito ha affidato la sua carta dei vini e degli champagne a Paolo Basso, Miglior Sommelier del Mondo, prima di passare il testimone a Xavier Thuizat, Miglior Sommelier di Francia 2022, Meilleur Ouvrier de France 2023 e Gran Premio della Sommellerie 2024 della Guida Michelin.

Un salto di qualità continuo

Oggi l’azienda serve più di 9 milioni di bottiglie all’anno. La sua carta dei vini viene rinnovata tre volte l’anno, con un’offerta premium sempre più ambiziosa. Perché il comfort della cabina non è più sufficiente: il vino è ormai un fattore importante per conquistare i passeggeri delle prime classi, che sono le più redditizie per i vettori. Questa corsa all’eccellenza si riflette nei concorsi (Cellars in the Sky Awards e Wines on the Wing) che ogni anno premiano le migliori selezioni effettuate dalle compagnie aeree. “La carta dei vini è un elemento importante dell’esperienza del passeggero e deve offrirgli un momento piacevole e accompagnare le sue papille gustative in un viaggio alla scoperta di nuove denominazioni e nuovi talenti. Deve riflettere le ultime novità nei vigneti e le tendenze, come la tendenza a bere meno, ma meglio, o a privilegiare vini rossi più digeribili, eleganti e rinfrescanti”, spiega Xavier Thuizat, che sceglie i vini soprattutto per la loro capacità di suscitare emozioni. “Quando sorseggio un vino, ho bisogno di sentire il luogo e l’autenticità di un terroir”.

Un mercato in piena espansione

Mentre il consumo di vino diminuisce a terra, esplode in aria. Lufthansa, ad esempio, indìce ogni anno 30-35 gare d’appalto, che portano a una decina di degustazioni da parte di esperti interni ed esterni. Il mercato, in piena effervescenza, segue la crescita globale del settore: Secondo la IATA, l’Associazione Internazionale del Trasporto Aereo, le compagnie aeree prevedono 5,2 miliardi di passeggeri entro il 2025 (+6,7% rispetto al 2024), che genereranno profitti record di 36,6 miliardi di dollari (+16,1% in un anno). Per le aziende vinicole, essere a bordo di questi aerei è un’opportunità d’oro. Possono vendere parte della loro produzione, facendosi conoscere da una clientela internazionale che sarà in grado di ritrovarle una volta a terra. Alcuni hanno addirittura trasformato questo mercato in un trampolino di lancio per l’esportazione. Ma bisogna riuscire a salire a bordo: un ordine può raggiungere le 60.000 bottiglie in una sola volta, un volume che pochi produttori hanno la capacità o la voglia di fornire, soprattutto quando alcune compagnie aeree tirano al ribasso sui prezzi.

Strategie viticole ambiziose

D’altra parte, molti di loro non esitano a investire fortemente. Dal 2006, Emirates ha iniettato più di un miliardo di dollari nel suo programma vinicolo. Ha una propria cantina in Borgogna, dove fanno invecchiare 7,4 milioni di bottiglie, alcune delle quali non saranno servite prima del 2037. Inoltre, ognuna delle quattro cabine della compagnia aerea ha la sua selezione, adattata per la Premium alle preferenze di gusto dei passeggeri di sei aree geografiche. Per perfezionare il servizio, Emirates ha persino lanciato un programma di formazione nel giugno 2024 intitolato “L’arte del vino”. Tre livelli di corsi intensivi di cui hanno già beneficiato oltre 1.000 membri dell’equipaggio, con l’obiettivo di arrivare a 22.000 entro il 2026. Un’iniziativa che illustra il crescente valore aggiunto della competenza del personale nell’esperienza del cliente.

Formazione e competenza

Esattamente come gli chef, che preparano i piatti serviti a bordo, organizzo con i team di Air France dei corsi di formazione per gli equipaggi, sotto forma di brevi video che spiegano il menu e forniscono alcuni consigli e aneddoti sulle cantine e le denominazioni”, spiega Xavier Thuizat. Singapore Airlines forma il suo personale secondo gli accreditamenti del Wine and Spirit Education Trust (WSET). Delta ha istituito il suo programma Sky Sommelier con Andrea Robinson. Spingendosi oltre, British Airways offre un club del vino, The Wine Flyer, che consente ai passeggeri di acquistare bottiglie online dopo averle degustate in volo. E Air New Zealand si è lanciata nella produzione di vino con la sua cuvée, Thirteen Forty Five, con Villa Maria. Mentre l’aviazione affila le sue armi di differenziazione, alcune case vinicole anticipano il futuro: Mumm ha progettato il suo Cordon Rouge Stellar per i futuri voli spaziali con equipaggio. A riprova del fatto che il vino si spinge costantemente oltre le frontiere… anche nello spazio.

Florence Jaroniak.

©Air France.

Fonti:

https://corporate.airfrance.com/fr/actualites/xavier-thuizat-devient-le-nouveau-chef-sommelier-dair-france

https://www.emirates.com/media-centre

https://www.lufthansa.com/fr/fr/decouvrez-l-offre-de-vins

https://www.businesstraveller.com/features/on-cloud-wine-cellars-in-the-sky-2024

www.globaltravelerusa.com

https://www.iata.org/contentassets/f32de4cd05e2498a824e67fadd658cb7/2024-12-10-01-fr.pdf

Coltivare la resilienza: la promessa della viticoltura rigenerativa

Di fronte alle sfide del cambiamento climatico, la viticoltura rigenerativa si afferma come un’alternativa sostenibile. Basata sulla triade suolo, albero e acqua, punta a ricreare un ecosistema viticolo più resiliente produttivo.

Sommario:

  • Il suolo al centro del modello
  • Animali e piante
  • Idrologia rigenerativa
  • Approccio globale

Il suolo al centro del modello

Inutile cercare. La viticoltura rigenerativa non ha né una definizione univoca né un’unica etichetta ufficiale, anche se stanno spuntando certificazioni per fornire un quadro di riferimento e promuovere le pratiche che essa abbraccia. Tra queste c’è il programma Regenerative Organic Certified (ROC), creato nel 2017 dall’associazione Regenerative Organic Alliance, negli Stati Uniti. “I viticoltori interessati a questo approccio partono dal principio che suoli sani producono viti resistenti e vini di migliore qualità”, spiega Alain Malard, consulente vitivinicolo (Permavinea), formatore di agroecologia e autore. Per ripristinare le qualità degradate o perse del suolo, alcuni produttori iniziano introducendo compost, biochar e colture di copertura…. “Tuttavia, seminare erba in un terreno compattato dai trattori e dalle vendemmiatrici è controproducente”, afferma Alain Malard, che sottolinea l’importanza di dissodare il terreno compattato “per permettere alle radici di scendere, ai lombrichi di salire e all’acqua di infiltrarsi.

Animali e piante

La concimazione e l’aerazione del terreno coinvolgono anche gli animali, e non solo pecore e galline. “Anche la fauna selvatica contribuisce all’ammendamento organico del suolo e semina l’erba di domani. A patto che si rifletta attentamente sulla scelta della copertura vegetale, perché la segale di bosco o la veccia, ad esempio, sono poco appetibili per uccelli e roditori”, spiega Alain Malard.

Se un terreno rivitalizzato immagazzina meglio l’acqua di cui la vite ha bisogno, anche la scelta di materiale vegetale resistente è un fattore importante. Malard si riferisce in particolare a portainnesti più lunghi da usare nei futuri impianti o nelle sostituzioni, per garantire un radicamento profondo che aiuterà le viti a gestire meglio l’apporto in acqua e in nutrimenti. Una seconda riflessione va fatta sui modi per rallentare, distribuire, infiltrare e immagazzinare l’acqua piovana nella singola parcella, in tutta la proprietà e in un bacino idrografico. Le tecniche che possono essere utilizzate includono canali di drenaggio, stagni, trincee a più livelli e persino il “keyline design”, una vera e propria strategia per la gestione delle risorse idriche di uno spazio.

Idrologia rigenerativa

I canali di drenaggio sono un luogo particolarmente adatto per piantare alberi o cespugli a forma di siepi che generano un microclima benefico, combattono l’erosione, promuovono la biodiversità, catturano il carbonio e ricreano il ciclo naturale dell’acqua sia nell’atmosfera che nel suolo”, aggiunge Alain Malard. In parole povere, le piante fanno letteralmente piovere, come ha sottolineato Simon Ricard, consulente e formatore presso la società di ricerca PermaLab e progettista di idrologia rigenerativa, durante un webinar organizzato nel luglio 2023 dal consorzio dei vini Côtes de Provence. “I due terzi delle precipitazioni continentali provengono dall’evapotraspirazione, che è direttamente legata alla vegetazione e al suolo ed è nota come acqua verde”. Senza di essa, il ciclo dell’acqua non funziona, causando un’alternanza di siccità e inondazioni. Per questo, “oltre a tenere conto dei percorsi naturali e artificiali dell’acqua e delle installazioni idrauliche nei vigneti, la coltivazione dell’acqua verde passa per l’agronomia, attraverso suoli vivi per la gestione dell’acqua a breve termine e l’agroforestazione per la gestione a lungo termine.”

Un approccio globale

In sintesi, la viticoltura rigenerativa richiede un approccio globale adattato a ciascun vigneto. Essa combina le pratiche e va oltre la parcella di terreno, per creare un ecosistema sostenibile. “Affinché la viticoltura rigenerativa diventi la norma, i viticoltori devono ora alzare il tiro”, afferma Alain Malard. “Questo modello deve essere un mezzo per andare oltre la viticoltura biologica, invece di esimersi dai suoi vincoli riservandosi il diritto di usare prodotti di sintesi, con il rischio di distruggere tutti gli sforzi fatti per promuovere la biodiversità”. Questa transizione richiede tempo e riflessione e implica un apprendimento e un cambio di paradigma, con rese che possono essere più base all’inizio. Ma sicuramente ne vale la pena…

Florence Jaroniak ©sofa12345678/pxhere

Maggiori informazioni:

https://regenorganic.org

www.regenerativeviticulture.org/

Il bio mantiene la rotta

Sebbene il mercato del bio in Francia stia subendo una battuta d’arresto, gli indicatori per il settore vino biologico rimangono globalmente positivi. In questo contesto si inserisce la fiera Millésime BIO, che si terrà a Montpellier dal 27 al 29 gennaio 2025.

Sommario:

  • Segnali positivi
  • Rallentamento delle conversioni
  • Viticoltori bio… ttimisti

Segnali positivi

Millésime BIO apre il calendario fieristico dell’anno. La più grande fiera mondiale dei vini e delle bevande alcoliche biologiche riunirà 1.500 espositori e 11.000 visitatori (previsti) dal 27 al 29 gennaio, in un contesto abbastanza positivo. Secondo l’Agence bio, nel 2023 la superficie viticola biologica in Francia è cresciuta dell’1,6%, mentre la superficie agricola biologica è diminuita per la prima volta. Con 171.265 ettari, quasi il 22% dei vigneti francesi è ora coltivato con metodo biologico, rispetto al 6% del 2010. Un altro motivo di soddisfazione: in contrasto con la stagnazione del mercato globale dei prodotti biologici, le vendite di vino biologico in Francia sono aumentate sia in volume (+6%) che in valore (+7%). Il settore del vino biologico, che vale 1,56 miliardi di euro, di cui oltre un terzo esportato, continua a essere trainato dalle vendite dirette. Questo canale, che rappresenta la metà di tutti i vini biologici venduti, è cresciuto del 14,3% in valore, mentre il canale enoteche è cresciuto del 12,4%. Solo i supermercati hanno registrato un calo del 4,6%, che riflette un calo del numero di vini biologici presenti a listino nella maggior parte delle catene.

Un rallentamento delle conversioni

Questa crescita generale non è sufficiente a compensare i volumi di produzione derivanti dal boom di conversioni del 2018-2020. Tuttavia, lo squilibrio potrebbe attenuarsi con la riduzione delle superfici in conversione (-33,5% nel 2023 rispetto al 2022). SudVinBio, l’associazione interprofessionale dei viticoltori biologici dell’Occitania e organizzatrice della fiera, spiega che questo rallentamento è dovuto a due fattori. In primo luogo, “il numero potenziale di vigneti da convertire si riduce matematicamente man mano che avvengono le conversioni”. In secondo luogo, “lo sviluppo del settore ha sempre alternato fasi di accelerazione e di rallentamento, per bilanciare in modo congiunturale domanda e offerta”. Resta il fatto che le avversità climatiche, sommate alla crisi, stanno mettendo particolarmente alla prova i viticoltori biologici, come dimostra l’esempio di Château Saint-Loubert (Graves e Bordeaux). “Nel 2021, un anno caratterizzato da gelo e pioggia, abbiamo perso il 90% del raccolto. Poi, nel 2022, siamo stati colpiti dalla siccità e dalla cicalina verde… La nostra prima annata biologica certificata, nel 2023, è stata venduta a prezzi convenzionali, anche se i vincoli tecnici e gli oneri economici sono maggiori per le aziende certificate”, lamenta Agnès Garbay. Questa viticoltrice, che gestisce la tenuta di famiglia con il marito da 20 anni, ha gettato la spugna a malincuore. “Certo, i clienti sono sensibili all’etichetta e sono disposti a pagare un po’ di più, ma per una piccola azienda a corto di liquidità dopo tre raccolti scarsi, sapere se il trattamento biologico funzionerà o meno aggiunge uno stress permanente”.

Viticoltori bio… ttimisti

Anche se ci sono candidati pronti a tornare all’agricoltura convenzionale, la tendenza non è quella del disfattismo. “Il 2024 segna il nostro primo anno di conversione e la nostra prima partecipazione a Millésime BIO, a riprova del fatto che ci crediamo”, afferma Madeleine Premmereur di Château Barbebelle, nella denominazione Coteaux d’Aix-en-Provence. La decisione di questa proprietà di richiedere il marchio AB è motivata principalmente da “preoccupazioni qualitative e ambientali”, piuttosto che da considerazioni commerciali. “Non sarà l’unica soluzione per riconquistare i mercati, anche se a parità di rapporto qualità-prezzo i consumatori sceglieranno il prodotto biologico rispetto a quello convenzionale.”.

Il sondaggio condotto da SudVinBio conferma l’ottimismo degli espositori: gli intervistati esprimono più fiducia nel futuro dei vini biologici che in quello del vino in generale. Ancor più a lungo termine: il 30,5% dei viticoltori intervistati prevede una crescita del mercato francese nei prossimi dieci anni e il 20,5% nei prossimi tre anni. Inoltre, il 40% ritiene che il consumo di vino biologico aumenterà a livello mondiale nei prossimi dieci anni, mentre solo il 14% pensa che aumenterà il consumo del vino convenzionale.

Florence Jaroniak.© : pxhere

Fonti:

www.agencebio.org

www.millesime-bio.com

Crémant: bollicine in piena effervescenza

In un periodo meno brillante per i vini fermi, i crémant fanno festa. Alternativa più economica rispetto allo champagne, questa grande famiglia rafforza la sua offerta di qualità e aspira a vedere la sua produzione valorizzata al giusto prezzo.

Sommario:

  • Record di vendite
  • Prezzi e diversità
  • Emulazione
  • Fattori di crescita
  • Potenziamento dell’offerta

Record di vendite

Re delle tavole di fine anno, lo champagne deve confrontarsi con nuovi rivali. “Accanto agli intenditori che rimangono indefettibili sostenitori dei grandi marchi di champagne, i consumatori che cercano la qualità a un prezzo più contenuto si rivolgono ormai ad altri vini spumanti”, sottolinea Olivier Leseul, della cantina Cep et Malt di Chelles (dipartimento di Senna e Marna), eletto miglior commerciante di vini in Francia nel 2024.

I Pét-Nat, un mercato di nicchia, suscitano interesse tra i giovani. Ma il loro profilo può sorprendere chi è abituato al metodo tradizionale, e i loro prezzi a volte sono elevati”, continua il professionista, mentre “nella mente dei consumatori, il crémant è un’alternativa allo champagne, che offre vere pepite tra i 10 e i 15 euro a bottiglia”.

Se alcune bollicine non vanno a gonfie vele, il Crémant non conosce crisi. Le sue otto denominazioni messe insieme (Alsazia, Bordeaux, Borgogna, Die, Jura, Limoux, Loira e Savoia) hanno venduto 108 milioni di bottiglie nel 2023 (+5,7% in un anno).

Prezzo e diversità

Questa progressione, costante e generale nell’ultimo decennio dimostra chiaramente che la categoria crémant è di moda”, si rallegra Édouard Cassanet, rappresentante della Federazione nazionale dei produttori ed elaboratori di Crémant (FNPEC). L’ultimo indicatore mensile delle vendite nella grande distribuzione conferma questa tendenza, mostrando un aumento complessivo del 4-5% da gennaio 2024. È chiaro che in un contesto inflazionistico tutti badano al portafoglio, ma il prezzo non è l’unico fattore. “Il Crémant offre una garanzia di qualità, sostenuta dal numero delle sue denominazioni di origina”. Questa diversità di terroir “stimola la curiosità dei consumatori”. Inoltre, “il carattere fruttato, piacevole e accessibile del prodotto e una gradazione alcolica limitata a 11,5 gradisono tutti elementi che rientrano nello spirito dei tempi.

Emulazione

Il Crémant dovrebbe temere i suoi concorrenti, soprattutto il Prosecco, la cui produzione è triplicata in 5 anni per raggiungere 616 milioni di bottiglie nel 2023? “Il Prosecco e il Cava sono prodotti complementari alla nostra offerta, che hanno ampliato i modelli di consumo e stanno alimentando l’appetito dei consumatori per i vini spumanti”, afferma Édouard Cassanet. Lo stesso vale per gli sparkling wines inglesi, la cui crescita è stata stimolata dagli investimenti delle aziende di Champagne nei vigneti del sud del Paese. “Non abbiamo nulla contro i progetti di creazione di IGP, a patto che non siano accompagnati da disciplinari opportunistici che si fanno beffe delle regole di produzione”, aggiunge il rappresentante della FNPEC, che nota anche l’emergere sul mercato del crémant di grandi marche con un peso commerciale tale da favorire il settore.

Fattori di crescita

Il Crémant è ormai riconosciuto come una categoria che “migliora l’immagine e stabilizza l’economia”. Nella Valle della Loira, la sua quota di produzione è passata dall’8,5% al 17% in dieci anni (perimetro InterLoire). Sta guadagnando terreno anche nei vigneti storicamente dominati dai vini fermi, come il Bordeaux. “Sebbene ci sia un margine di manovra in termini di aumento di alcuni volumi, la sfida principale è quella di mantenere un equilibrio tra domanda e offerta”, afferma Edouard Cassanet. Sul fronte delle esportazioni, che rappresentano il 40% delle vendite totali di Crémant, guidate dal Nord Europa e dagli Stati Uniti, potrebbero ancora aprirsi nuovi orizzonti. Restano solo due nubi. In primo luogo, l’offerta di vini Crémant è ancora poco rappresentata nelle enoteche e nei ristoranti francesi.

Potenziamento dell’offerta

In secondo luogo, il prezzo medio di un Crémant nella grande distribuzione è di circa 7 euro a bottiglia, lo stesso di altri spumanti non prodotti con il metodo tradizionale. Il potenziale del settore risiede ora in “un prezzo più equo che riflette meglio la realtà dei costi di produzione”, generati da vendemmie manuali, seconda fermentazione in bottiglia, maturazione minima di dodici mesi, di cui nove su doghe, e separazione delle fecce mediante sboccatura. I marchi distintivi creati in alcune regioni – Eminent e Grand Eminent in Borgogna, Prestige de Loire, ecc. – e l’emergere di cuvée millesimate, parcellari, monovitigno o frutto di lungo affinamento stanno già diversificando e potenziando l’offerta. Senza dimenticare i lieux-dits. Dal 2011, l’Unione dei produttori ed elaboratori di crémant della Borgogna chiede che questo termine sia consentito sulle etichette, seguendo l’esempio dello Champagne e del Crémant de Loire. L’INAO esaminerà la richiesta nel corso della prossima riunione del comitato nazionale che si terrà all’inizio del 2025. Una decisione positiva sarebbe davvero un bel regalo di Capodanno.

Florence Jaroniak, ©Volha_AdobeStock

Fonte: https://cremants.com

Per saperne di più:

https://www.cava.wine/documents/582/DO_CAVA_GLOBAL_REPORT_2023_ENG.pdf

https://www.prosecco.wine/wp-content/uploads/2024/02/CS_04.01.2023_BILANCIO-2023.pdf

https://www.prosecco.it/wp-content/uploads/2023/11/Rapporto-Economico-2023.pdf

https://winegb.co.uk/wp-content/uploads/2023/06/WineGB-Industry-Report-2022-23-FINAL-4.pdf

Vendemmia 2024: viticoltori in difficoltà

Le condizioni climatiche avverse continuano a impattare la produzione vinicola globale, evidenziando quanto la viticoltura sia vulnerabile ai cambiamenti climatici e sottolineando la necessità di adattarsi a questa nuova realtà.

In breve:

  • Un raccolto scarso
  • Italia in testa, Francia in calo
  • Cambiamento climatico
  • Investire per adattarsi

Un raccolto scarso

Il 45° Congresso mondiale della vite e del vino tenutosi a Digione ad ottobre non solo ha permesso all’OIV di eleggere un nuovo presidente (Yvette van der Merwe), né solamente di celebrare il suo 100° anniversario con un piano strategico del 2025-2029 accompagnato da 13 risoluzioni, ma ha anche portato l’organizzazione a confermare ciò che tutti temevano: la vendemmia del 2024 sarà scarsa. In base a un primo bilancio che considera i principali paesi produttori, responsabili dei tre quarti della  produzione mondiale, la produzione toccherebbe il minimo storico degli ultimi sessant’anni, scendendo sotto i 250 milioni di ettolitri (Mhl). Tra questi paesi, alcuni che avevano affrontato serie difficoltà l’anno scorso mostrano segni di ripresa, pur rimanendo sotto le loro medie storiche. Per quanto riguarda l’emisfero sud, questo è il caso di Argentina e Australia, mentre in Europa riguarda Italia e Spagna.

Italia in testa, Francia in calo

La produzione vinicola italiana registra un leggero aumento, raggiungendo circa 41 Mhl, ma questo dato maschera gli effetti dei fenomeni meteorologici estremi. L’Italia si riconferma primo produttore mondiale. In Spagna, le cooperative agroalimentari stimano una produzione di 37 Mhl, segnando un aumento del 14,5% rispetto al 2023. Questo risultato è stato possibile grazie ai raccolti nella media in Castiglia-La Mancia ed Estremadura, che hanno bilanciato la scarsissima produzione della zona orientale, nuovamente flagellata dalla siccità. Al contrario, la situazione è meno favorevole per Cile e Francia. La produzione francese dovrebbe raggiungere circa i 37 Mhl, con un calo del 23% rispetto all’anno scorso e del 17% rispetto alla media quinquennale. Tutte le regioni viticole sono state colpite, in particolare il Giura, che registra un crollo del 68% rispetto alla vendemmia 2023.  Perdite significative si sono verificate anche in Borgogna-Beaujolais (-38%), Champagne (-46%), Charente e Valle della Loira. Le cause sono da ricercarsi nell’eccesso di precipitazioni e/o nella siccità, nelle gelate e nella grandine, fenomeni che in alcuni casi si sono manifestati contemporaneamente durante l’anno.

Cambiamento climatico

Sebbene la natura abbia abituato i viticoltori alle variazioni dei raccolti, negli ultimi 30 anni la produzione mondiale “ha continuato a oscillare con un’ampiezza abbastanza costante”, afferma John Barker, direttore generale dell’OIV. “Pertanto è molto significativo che nel 2023 abbia raggiunto il livello più basso di tale oscillazione”. Lo stesso parere è condiviso da Jean-Marie Fabre, presidente dei Viticoltori Indipendenti di Francia. “Al tempo dei miei genitori o dei miei nonni, i capricci climatici si verificavano appena ogni vent’anni. Allora si diceva che erano le annate dei viticoltori per la maestria e la determinazione dimostrate nell’estrarre la quintessenza dalle uve salvate. Ho l’impressione che la natura non ci regali più altro che annate dei viticoltori.” La gestione delle scorte, la capacità di autofinanziamento e un eventuale sostegno statale permettevano di attenuare le perdite del raccolto e consolidare l’attività. Ma le cose sono cambiate con una crisi multifattoriale che ha indebolito l’industria e i capricci climatici ormai ricorrenti.

Investire per adattarsi

Sebbene vitigni resistenti o pratiche agricole diverse possano mitigare l’impatto del cambiamento climatico, per il viticoltore di Fitou “piantare viti in Bretagna non basterà a risolvere il problema, dato che questa regione soffre comunque le gelate”. Sostiene un piano di resilienza che cambi paradigma grazie all’anticipazione. “Invece di ricorrere agli aiuti governativi per compensare i danni retroattivamente, perché non sosteniamo per due o tre anni investimenti destinati a proteggere la vigna dalla grandine, dal gelo e dalla siccità? “È meglio investire oggi per risparmiare domani e continuare a creare ricchezza?” si chiede Jean-Marie Fabre. Le soluzioni non mancano: contro il gelo abbiamo diverse opzioni, dai cavi riscaldanti – talvolta alimentati con pannelli solari – ai sistemi di aspersione, fino alle torri antigelo. “Le reti antigrandine sono davvero efficaci, con una protezione del 92% circa, ma l’investimento è considerevole: tra gli 8.000 e i 10.000 euro per ettaro” spiega Jean-Marie Fabre con incontenibile ottimismo. “La viticoltura nel nostro paese ha una storia di oltre duemila anni. I nostri avi viticoltori hanno superato momenti altrettanto difficili. E non è certo la prima volta che assistiamo a cambiamenti nelle abitudini diconsumo del vino…”.

Florence Jaroniak, © Pexels/Filipp Romanovski

Per approfondire l’argomento:

www.oiv.int/fr/presse/les-temps-forts-de-lassemblee-generale-de-loiv

https://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/13111#:~:text=Quantit%C3%A0%20a%2041mln%20di%20hl,la%20scorsa%20annata%20ultra%2Dlight.

https://www.agro-alimentarias.coop/posts/cooperativas-agro-alimentarias-estima-una-vendimia-de-37-millones-de-hl

https:/agreste.agriculture.gouv.fr/agreste-web/disaron/IraVit24124/detail/

www.wineaustralia.com/getmedia/b3576546-f5b7-4210-b936-0460b618bd41/MI_VintageReport2024_F.pdf

https://bit.ly/2024HarvestReport

https://www.nzwine.com/en/media/statistics-reports/nzw-annual-report/?submit=

La IGP Cévennes si sta affermando

Quaranta comuni situati nel massiccio delle Cévennes in Lozère hanno aderito all’IGP Cévennes. I loro sorprendenti terroir e vitigni si fanno conoscere con nuove prospettive.

In breve:

  • Un passato che fa la differenza
  • Un’alleanza vincente
  • Un ventaglio di vitigni
  • Uve dimenticate
  • Vigneti a terrazza
  • Natura e comunicazione

Un passato che fa la differenza

Il decreto ministeriale è entrato in vigore durante la vendemmia del 2024: L’IGP Cévennes amplia la sua zona di produzione ai cantoni di Las Cevenas situati in Lozère. “Quando il disciplinare è stato redatto nel 2008, l’IGP era limitata ai comuni del Gard, mentre secondo gli scritti dell’epoca di Luigi XIV, le Cévennes costituivano storicamente un’entità distinta che si estendeva fino ai pendii del massiccio che porta il suo nome,” racconta Jérôme Villaret, responsabile del progetto per l’IGP Cévennes. Pertanto, con questa estensione – promossa dall’ex presidente dell’unione, Christian Vigne – “si corregge una dimenticanza che non era altro che un’eresia”, secondo l’attuale presidente, Christel Guiraud. Rispetto alla sua controparte del Gard (80 aziende che producono in media da 70.000 a 80.000 ettolitri all’anno), il versante della Lozère sembra limitato con la sua decina di viticoltori… per ora. Ciononostante, l’avvicinamento andrà a vantaggio di entrambe le parti.

Un’alleanza vincente

I primi beneficeranno della dinamica commerciale dell’IGP e di una migliore visibilità per i loro vini grazie alla notorietà del nome Cévennes, combinata con un parco nazionale sinonimo di natura incontaminata che ogni anno accoglie due milioni di visitatori*. I secondi trarranno vantaggio da terroir d’altura adatti al cambiamento climatico, con un elevato potenziale. “Sappiamo già di alcuni viticoltori che stanno piantando a 700 metri su terreni di scisto e granito, molto simili ai terroir diFaugères e della parte alta delle terrazze del Larzac” sottolinea Jérôme Villaret. “C’è anche grande entusiasmo per i vitigni storici della regione,” osserva Christel Guiraud.

Un ventaglio di vitigni

Autorizzando 97 vitigni, il disciplinare offre già ai viticoltori la possibilità di piantare varietà classiche, adatte ai terreni freschi, come  Syrah, Pinot e Chardonnay, vitigni resistenti – Soreli, Floréal…– e vitigni antichi come Counoise, Terret blanc o Morrastel, varietà che un tempo erano tardive e oggi maturano in tempi normali. Durante gli anni ’60, le Cévennes della Lozère registravano un 30% di vitigni proibiti, quelli ibridi importati dal Nord America per combattere la fillossera, che sarebbero stati banditi nel 1934.Sono sopravvissuti grazie al carattere ribelle degli abitanti della Lozère, all’ignoranza delle regole da parte dei locali e perché resistevano naturalmente alle malattie e alle gelate primaverili,” aggiunge Jérôme Villaret.

Uve dimenticate

Se fino a poco tempo fa erano screditate, oggi sono note per essere meno tanniche, più leggere e più aromatiche rispetto ai vitigni utilizzati nei vini di vitis vinifera, e il loro profilo potrebbe sedurre una nuova generazione di consumatori. “Prima di tutto, dobbiamo comprenderle meglio, conoscere meglio le buone pratiche agronomiche e di vinificazione per ottenere da esse raccolti interessanti. A questo scopo, nel 2023 è stato avviato un osservatorio per catalogare i vitigni. Verrà effettuato un test di microvinificazione pura, con una prima degustazione per febbraio 2025. Se il risultato sarà positivo, ci adopereremo per ottenere l’autorizzazione a introdurre questi vitigni nel catalogo nazionale”. L’iniziativa riguarda anche le vecchie varietà dimenticate, come il Negret de la Canourgue, una vite endemica. Un viticoltore di Aujac, nel dipartimento del Gard, ha persino scoperto un vitigno sconosciuto agli ampelografi di Montpellier, che ha chiamato Aujaguais.

Vigneti a terrazza

Ora che sei vitigni rappresentano il 70% della produzione mondiale e di fronte al cambiamento climatico, i viticoltori delle Cévennes hanno un potenziale incredibile che permetterà di differenziare la produzione con una narrazione diversa,” afferma Jérôme Villaret. Nel 1960, migliaia di piccole aziende a policoltura della Lozère coltivavano quasi 1.000 ettari di viti per il consumo familiare o dei minatori del bacino di Alès. “Le viti sono state piantate nei bancels**, su pergole di castagno insieme a ortaggi per sfruttare al massimo il terreno. Per questo alcuni viticoltori scelgono di far rivivere i vitigni proibiti, perché sono adatti a questa forma di coltivazione. Inoltre, è stata presa la decisione di condurre un programma sperimentale con il sindacato delle alte valli delle Cévennes per valutare la migliore agricoltura possibile su terrazze”.

 

Natura e comunicazione

Questa non è l’unica lotta del sindacato. “A partire dal 2027, il 100% dei vini dell’IGP Cévennes dovrà essere biologico o certificato HVE (alto valore ambientale), considerando che il 90% delle aziende agricole si trova già in questa dinamica” sottolinea Christel Guiraud. Come se non bastasse, i viticoltori si sono riuniti in un GIEE (Gruppo di Interesse Economico e Ambientale), che si impegna a mantenere pratiche agroecologiche, dall’inerbimento dei terreni alla piantumazione di siepi. La IGP Cévennes cerca anche di far conoscere e riconoscere il proprio valore oltre la regione e persino oltre la Francia, con una comunicazione rinnovata: sito web ringiovanito, supporto di influencer e sponsor famosi, pubblicazione di un opuscolo gastronomico… Questa certificazione ha ancora moltissimo da offrire.

Florence Jaroniak,  © IGP Cévennes, traduzione di Anna Monini

Fonti: ATOUT Francia, 2018.

**Strette terrazze sostenute da muretti a secco.

Ulteriori informazioni: www.vinsdescevennes.com

Un vetro davvero ecologico

Grazie ad un processo più efficiente dal punto di vista energetico, ad un aumento del riciclo ed a bottiglie più sottili, l’industria del vetro sta lavorando a pieno ritmo per ridurre la propria impronta di carbonio, il tutto a favore del settore vitivinicolo.

In breve:

  • Una chiara tabella di marcia
  • Energie decarbonizzate in piena espansione
  • Vetro macinato: il nuovo re
  • Un’industria sempre più circolare
  • Bottiglie sempre più leggere

Una chiara tabella di marcia

Gli imballaggi rappresentano dal 30 al 40 per cento del carbonio emesso dal settore vitivinicolo. Ma questo non andrà avanti a lungo. Segnale di una profonda trasformazione che sta accelerando, la Federazione delle industrie del vetro ha successivamente pubblicato la sua tabella di marcia per la decarbonizzazione con il Ministero dell’Industria e un Piano di Transizione Settoriale preparato con ADEME*. Jacques Bordat, presidente della FIV, ha dichiarato lo scorso luglio: “i produttori di vetro si stanno impegnando e stanno già investendo in azioni e progetti volti a decarbonizzare la loro produzione. Verallia, il primo produttore europeo di imballaggi in vetro per bevande e prodotti alimentari, ha definito la sua strategia nel 2020. Mira a ridurre le emissioni di CO2 del 46% entro il 2030 rispetto al 2019 (ambiti 1 e 2)**, innovando per prima cosa la tecnologia della fusione.

Energie decarbonizzate in piena espansione

“La maggior parte delle emissioni di gas serra dei produttori di vetro si genera durante il processo di produzione, spiega Marie-Astrid Gossé, Marketing Manager del gruppo Verallia.”Per questo motivo, nel marzo 2024, abbiamo installato un forno elettrico presso il nostro impianto di Cognac, che riduce l’impronta di carbonio del 60% rispetto a un forno tradizionale a gas”. La costruzione di forni ibridi (80% elettricità / 20% gas) segue la stessa logica. La società statunitense O-I Glass ha investito circa 65 milioni di dollari nel suo stabilimento di Veauche (Loira) per fornire ad uno dei suoi forni questa tecnologia un sistema di recupero del calore e preriscaldamento dell’aria a partire dal 2025. Il lancio del primo forno ibrido in Verallia è previsto anche per il 2025 in Spagna (Saragozza) e nel 2026 in Francia, a Saint-Romain le-Puy (Loira). Infine, anche la sede di Tourres & Cie della società Saverglasse a le Havre (Seine-Maritime) disporrà di questa tecnologia nel 2027.

Vetro macinato: il nuovo re

Inoltre, per evitare di esaurire le risorse naturali, l’industria del vetro ora si affida principalmente al vetro macinato che proviene dal riciclo. “Dieci punti percentuali aggiuntivi di vetro macinato nei forni riducono le emissioni di CO2 del 5% e l’energia consumata del 2,5%”, afferma Marie-Astrid Gossé.“Tuttavia, la disponibilità del materiale varia a seconda delle aree geografiche. La sfida consiste nel migliorare la raccolta dei rifiuti in vetro. In quest’ottica, Verallia investe nei suoi 19 centri di lavorazione del vetro macinato installati in otto paesi, in particolare per migliorare la selezione ottica e quindi ottimizzare la qualità del vetro macinato immesso nei forni.

Un’industria sempre più circolare

Il riutilizzo è un altro modo per sviluppare la circolarità degli imballaggi in vetro. Come sottolinea la responsabile marketing, “in un sistema maturo, il riutilizzo dopo ricondizionamento può ridurre di quattro volte il consumo energetico e le emissioni di CO2 delle bottiglie di vetro”, tanto più che il materiale sembra essere stato progettato proprio per questo scopo. “L’imballaggio in vetro è riciclabile al 100% e all’infinito; è facile da riutilizzare perché è inerte, ha un solo ingrediente ed è trasparente. Essendo solido, resiste anche al lavaggio. Marie-Astrid Gossé è convinta: “Oltre agli sforzi che devono essere mantenuti in questo senso, il sistema del vuoto a rendere creerà nuove opportunità per il vetro a condizione che si riesca a ricostruire l’intero ecosistema”. Che siano monouso o riutilizzabili, i contenitori in vetro finiscono per essere riciclati come nuovi imballaggi con un tasso di raccolta del 80% in Europa.

Bottiglie sempre più leggere

Infine, occorre lavorare sulla progettazione sostenibile. Al di là dell’esigenza ecologica, molte imprese vinicole stanno cercando di alleggerire i loro imballaggi, soprattutto per le esportazioni. Alcuni monopoli come la SAQ in Canada o Systembolaget in Svezia stabiliscono un peso che non deve essere superato“, afferma Marie-Astrid Gossé.”Pertanto, vengono spesso sviluppate nuove gamme più leggere che mantengono le caratteristiche tecniche ed estetiche delle bottiglie originali. La riduzione così indotta nell’impronta di carbonio è favorevole all’intera catena del valore, compresi i trasporti. “Tuttavia, il processo prevede strumenti di modellizzazione avanzati per stimare la distribuzione ottimale del vetro nel contesto dell’alleggerimento, sistemi di controllo avanzati nelle linee di produzione e test successivi per garantire la totale resistenza delle bottiglie ” continua Marie-Astrid Gossé. Nel luglio 2024, la Verallia ha convalidato le prove della sua bottiglia di Champagne Ecova 2 in collaborazione con Maison Telmont: pesa solo 800 grammi, 35 grammi in meno rispetto alla versione precedente e 100 grammi in meno rispetto alla versione classica. E se questa differenza è impercettibile all’occhio, il suo impatto sarà positivamente percepibile a livello ambientale.

Anne Schoendoerffer, traduzione di Anna Monini ©Adobestock

*ADEME: Agenzia per il controllo dell’ambiente e dell’energia.

**L’ambito 1 corrisponde alle emissioni di gas a effetto serra direttamente generate dalle attività dell’impresa; l’ambito 2 comprende le emissioni indirette connesse all’energia che si verificano al di fuori del sito dell’impresa.

Fonti:

https://www.adelphe.fr/mieux-nous-connaitre/actualites/plans-prevention-deco-conception

https://fedeverre.fr/la-feuille-de-route-de-decarbonation-de-la-filiere-verre-est-tracee-et-permet-de-respecter-des-objectifs-ambitieux/

https://www.entreprises.gouv.fr/files/files/enjeux/d%C3%A9carbonation/feuille-de-route-verre.pdf

https://investors.o-i.com/News-Events/news/news-details/2024/O-I-Glass-to-Invest-65-Million-in-Electrification-and-Decarbonization-in-Veauche-France/default.aspx

I vigneti tornano ai tempi dei muri a secco

Non è più necessario dimostrarne le virtù estetiche ed ecologiche: questa antica tecnica, un tempo trascurata, sta vivendo una rinascita nelle aziende viticole, grazie a iniziative sia collettive che individuali.

In breve:

  • Un patrimonio dalle molteplici funzioni
  • Dal sostegno finanziario alla formazione specializzata
  • Una rinascita ben orchestrata

Un patrimonio dalle molteplici funzioni

Provate a immaginare i vigneti di Côte-Rôtie, Côte Vermeille, la valle del Douro in Portogallo o anche Lavaux in Svizzera, senza i loro caratteristici terrazzamenti. Perderebbero non solo la loro identità, ma molto di più. I muri in pietra a secco non sono semplici elementi paesaggistici, indipendentemente dal fatto che siano destinati a separare gli appezzamenti o a coltivare terreni scoscesi: rispondono alle sfide ambientali contemporanee, regolano la temperatura, combattono l’erosione del suolo e il rischio di incendi, gestiscono le risorse idriche e offrono rifugio alla biodiversità.… Purtroppo, queste strutture millenarie, erette senza malta né armatura, si trovano spesso in cattivo stato o sono state restaurate frettolosamente,   compromettendo il loro valore storico e le loro funzioni. Questa constatazione ha spinto l’ Associazione dei Climats del vigneto di Borgogna a lanciare un innovativo programma di aiuti per il restauro delle piccole costruzioni viticole: muri, capanne, portali delle aziende. “Tutto è iniziato con l’iscrizione dei Climats nel patrimonio mondiale UNESCO nel luglio 2015.” racconta Nathalie Hordonneau-Fouquet, responsabile del Patrimonio e della Mediazione dell’associazione. “Riconoscendo sia un modello di viticoltura unico al mondo sia tutti gli elementi che ne costituiscono il paesaggio, l’UNESCO ha evidenziato l’importanza di preservare questo marcatore identitario.” L’associazione ha mappato oltre 220 chilometri di muri nel territorio.

Dal sostegno finanziario alla formazione specializzata

“La mappatura ci ha rivelato che i proprietari non avevano risorse per restaurare adeguatamente questo patrimonio, sia per mancanza di conoscenze specifiche che per l’assenza di aiuti pubblici mirati”. Per ovviare a questa lacuna, è stato istituito un fondo finanziato da una riuscita campagna internazionale.  Sebbene i materiali vengano spesso recuperati in loco, l’implementazione resta costosa: “Dal 25 al 30% in più rispetto a una costruzione moderna, ma con interventi meno invasivi.” In sei anni, il numero di progetti pubblici e privati accompagnati dall’associazione all’interno del perimetro del sito registrato nel patrimonio è passato da 20 a 240.  Rappresentano 7,5 milioni di euro di opere, con un finanziamento di oltre 3 milioni di euro grazie a questo programma. “Parallelamente, sensibilizziamo i proprietari attraverso incontri, workshop e corsi di formazione in collaborazione con il CFPPA* di Beaune. Un modulo dei programmi getta le basi per l’attuale manutenzione dei lavori per i futuri dipendenti e viticoltori” aggiunge Nathalie Hordonneau-Fouquet. Questi interventi hanno rivitalizzato un’arte in declino, ora riconosciuta anche dall’UNESCO: il territorio vanta tre aziende specializzate, rispetto all’unico esperto di muri presente nel 2018.
Il lavoro prosegue in sinergia con altre associazioni, il consiglio regionale della Borgogna Franca Contea per azioni congiunte e finanziamenti europei, e con lo Stato per realizzare siti classificati secondo la legge paesaggistica del 1930.

Una rinascita ben orchestrata

Nonostante i progressi, c’è ancora molto da fare. Una dei membri è Florence Monmousseau, che nel 2010 ha acquistato con il marito La Grande De Bouys a Roujan, nell’Hérault.  “Le centinaia di metri di muri che sostenevano la collina erano nascosti dalla vegetazione.  Dopo aver scoperto il loro stato precario, ho deciso di formarmi con l’ associazione Pierres Sèches sauvegarde du patrimoine, a Faugères, e successivamento in modo più professionale con Les Muraillers Languedociens”. Il risultato? La viticoltrice Monmousseau ha restaurato gran parte del patrimonio viticolo, creando anche scalinate e passaggi tra gli appezzamenti. La sua passione l’ha portata a diventare membro della Federazione francese dei professionisti della pietra a secco, e ora sensibilizza persone che si occupano di altri settori.  “Esistono aiuti finanziari e opportunità di formazione accessibili, specialmente attraverso i parchi naturali regionali. Non bisogna aver paura di mettersi all’opera”, dice Florence Monmousseau. Ne vale la pena. “Una pietra accumulata su un altro e ci sono altri 50 anni di un muro la cui resilienza non ha paragoni con il cemento!

Florence Jaroniak, traduzione di Anna Monini, ©Association des Climats-PM

*Centro di formazione professionale e promozione agricola

Link di interesse :

Federazione francese dei professionisti della pietra a secco : https://www.professionnels-pierre-seche.com

I Climats del vigneto di Borgogno / dispositivo dedicato : https://www.climats-bourgogne.com/fr/dispositif_638.html

Cartografia delle iniziative con pietra a secco nella regione Sud della Francia

SPS (Rete internazionale della pietra a secco) : http://pierreseche-international.org/

Guida per l’enoturismo

L’enoturismo offre un’esperienza unica: pernottare nelle case dei viticoltori, partecipare alla vendemmia e prendere parte a laboratori di abbinamento di piatti e vini.  Questo tipo di turismo sta registrando un successo clamoroso con prospettive di crescita molto promettenti. Tuttavia, affinché l’offerta possa durare nel tempo, è essenziale che sia strutturata e promossa in modo efficace.

In breve  

  • Quali sono i numeri dell’enoturismo in Francia?
  • Perché lanciarsi in questa attività?
  • Come distinguersi in questo mercato?
  • Qual è il vantaggio di lavorare con una rete?

Quali sono i numeri dell’enoturismo in Francia?

Che paradosso!  Sebbene il primo itinerario dei vini francese sia nato nel 1937 in Borgogna,  la culla dell’enoturismo è in realtà la California, e risale agli anni ‘70.  Questo fenomeno ha preso piede tra le cantine del Nuovo Mondo prima di arrivare in Europa una decina di anni dopo… A quali conclusioni si può giungere? Secondo Atout France, l’agenzia francese per lo sviluppo del turismo, la Francia accoglie ogni anno 10 milioni di turisti appassionati di vino, di cui il 42% sono stranieri. Questi visitatori generano una spesa di 5,2 miliardi di euro. Sebbene questi dati risalgano al 2016 e non siano stati aggiornati, la dinamica rimane invariata. “Grazie al lavoro minuzioso condotto dalle istituzioni per oltre 20 anni, la regione di Bordeaux è diventata una delle maggiori destinazioni del turismo del vino a livello mondiale. Nonostante ciò, all’inizio le aziende non erano interessate ad ospitare questo tipo di attività perché erano abituate a vendere il loro vino sul mercato di Bordeaux e non direttamente nei loro vigneti”, racconta Catherine Leparmentier Dayot, direttrice della rete  di Great Wine Capitals.*

Perché lanciarsi in questa attività?

Tutte le regioni vinicole si sono gradualmente unite nell’abbracciare l’enoturismo, spinte anche dalla crisi economica. Questa forma di turismo incrementa i fatturati delle cantine e rappresenta inoltre una fonte di guadagno diversificata, meno dipendente dai capricci del tempo rispetto all’attività produttiva vitivinicola. In media, le aziende vinicole vedono una crescita del 20% del loro volume di vendite quando offrono servizi enoturistici. Ma soprattutto, i viticoltori ottengono un meraviglioso strumento di marketing attraverso il contatto diretto con i consumatori, che porta a un maggiore riconoscimento del loro marchio. “Quando i visitatori se ne vanno portando con sé bei ricordi, tendono a scegliere il loro marchio quando mangiano al ristorante o scelgono un vino in negozio”, sottolinea Catherine Leparmentier Dayot. Tuttavia, Leparmentier Dayot aggiunge: “Le visite seguite da degustazioni di vini non sono più sufficienti. Perché questo modello economico funzioni davvero bisogna pensare non solo agli amanti del vino, ma anche al turista, che cerca esperienze indimenticabili”.

Come distinguersi in questo mercato?

Lasciatevi trasportare dall’immaginazione. Dalle giornate a tema ai programmi completi che includono alloggio, ristorazione ed intrattenimento, ognuno può decidere in base ai propri obiettivi e alle proprie capacità, attenendosi a determinati criteri per sfruttare al massimo le proprie possibilità. Innanzitutto, la qualità dei servizi è la chiave del successo: comincia con il rispetto degli orari e la formazione del personale. “Anche se non è indispensabile che sia completa, l’offerta dovrebbe comunque evidenziare e integrare un elemento gastronomico, poiché fa parte integrante delle aspettative dei visitatori. Un esempio potrebbe essere un workshop dedicato al vino e al formaggio. Inoltre, la proposta di eventi a cadenza frequente è un modo efficace per attirare la clientela locale, spesso durante la settimana e in bassa stagione. Organizzare tali eventi può incrementare la visibilità e l’attrattiva della cantina”, aggiunge Catherine Leparmentier Dayot. Ormai è evidente: con una maggiore articolazione, queste nuove attività costituiscono una seconda categoria della professione che richiede tempo e denaro. Prima di un investimento, “è necessario condurre uno studio di mercato per conoscere le aspettative dei clienti, le proposte esistenti, le tariffe applicate e valutare il posizionamento”.

Qual è il vantaggio di lavorare con una rete?

Una volta creata l’offerta, il passo successivo è farla conoscere con “un sito web efficiente, ben referenziato, almeno bilingue, e una presenza attiva sui social media, curando la reputazione online” commenta l’esperta Catherine Leparmentier Dayot. Ma il vero vantaggio competitivo risiede nella forza dell’unione: coltivare relazioni più strette con le associazioni vinicole, le camere di agricoltura e commercio, i comitati provinciali e regionali, gli uffici del turismo e altri fornitori di servizi rappresenta un elemento fondamentale per diffondere e promuovere efficacemente la propria offerta. Inquadrare le iniziative rafforza anche l’efficacia delle reti: i marchi di qualità, come “Vignobles & Découvertes” di Atout France, e i concorsi, come Best Of Wine Tourism.  Leparmentier Dayot conclude: “le piattaforme di prenotazione online specializzate e le agenzie ricettive sono fondamentali per ampliare la visibilità dell’offerta enoturistica e conquistare nuovi mercati, soprattutto oltre i confini nazionali”.  Ora sta a voi sfruttare al meglio queste risorse!

Florence Jaroniak, traduzione di Anna Monini, © pexels Sama Bairamova

*Creata nel 1999 su iniziativa della Camera di Commercio e Industria di Bordeaux Gironda, la Rete delle Capitali dei Grandi Vigneti (Great Wine Capitals Global Network) mira a favorire gli scambi commerciali, turistici e formativi tra i suoi membri. Tra le altre cose, organizza il concorso Best Of Wine Tourism che premia ogni anno le proprietà e i fornitori di servizi che propongono un’offerta enoturistica originale e di qualità.

Bibliografia (download gratuito sul sito di Atout France, in francese):

https://www.atout-france.fr/fr/catalogue/etudes-publications/tourisme-et-vin-reussir-la-mise-en-marche

https://www.atout-france.fr/fr/catalogue/rendez-vous/imex-america-2023