Design, strategia, percezione sensoriale… L’etichetta di una bottiglia è diventata molto più di una semplice questione di packaging. Veicolo di significati, racconta una storia, influenza e fa vendere.
Sommario:
- Un segno distintivo… antico come il vino
- Fattore di acquisto e strumento di espressione di un’identità
- Identificare il proprio target, parlare in modo giusto
- Tra ricerca di senso e natura
- Innovazione strategica
Un segno distintivo… antico come il vino
Ancor prima della comparsa delle prime etichette cartacee, nel XVIII secolo, i commercianti di vino promuovevano già il contenuto delle loro giare. Al Museo del Louvre, un frammento risalente all’epoca di Ramses II (-1279-1213), rinvenuto in Egitto, indica l’origine del vino che conteneva. Oggi le etichette non si limitano a fornire informazioni, ma catturano lo sguardo e guidano la scelta del consumatore. Secondo un sondaggio condotto da Opinion Way per i Vignerons Indépendants (2023), sette Francesi su dieci considerano l’etichetta un criterio importante per l’acquisto. Un recente studio della Washington State University rivela, inoltre, che il design influenza le nostre percezioni e la scelta di acquisto.
Fattore di acquisto e strumento di espressione di un’identità
Le consumatrici americane intervistate preferivano etichette con codici visivi cosiddetti femminili: fiori, volti, ecc. “Si aspettavano anche una migliore esperienza sensoriale complessiva ed erano più propense ad acquistare il vino”, osserva Ruiying Cai, autrice principale dello studio. E questo vale anche per le più esperte: “L’influenza di questi segnali di genere era così forte da superare persino la conoscenza del prodotto”, aggiunge Christina Chi, coautrice dello studio. In un test alla cieca, lo stesso vino è stato percepito come fruttato e dolce con un’etichetta femminile, e più minerale con una versione maschile. “L’etichetta è un vero e proprio strumento di espressione di un’identità. Così come la applichiamo sulla bottiglia, la applichiamo simbolicamente a ciò che il vino rappresenta, che è molto più di un prodotto”, conferma Sophie Javel, cofondatrice di Exceptio, uno studio di design specializzato in vino e bevande spiritose, con sede a Gradignan (Francia).
Identificare il proprio target, parlare in modo giusto
Primo contatto visivo con il consumatore, l’etichetta è un marcatore pensato per riflettere l’unicità del prodotto. “L’etichetta implica coerenza tra ciò che si vede e ciò che si beve e fa parte di una più ampia strategia di comunicazione globale. Si tratta di raccontare senza necessariamente inventare: fare storytelling non significa inventare storie, ma dare un significato a ciò che facciamo”. L’etichetta giusta deve quindi parlare al pubblico giusto, nel modo giusto. “Bisogna definire il proprio target e rispettarlo. L’etichetta non sarà la stessa per un vino tradizionale, ricco di storia, rispetto a una cuvée giovane, più accessibile e destinata al consumo quotidiano”, insiste Sophie Javel. Il tono, i colori, le forme e la tipografia devono essere adattati anche al punto vendita: enoteche, supermercati, ecc.
Tra ricerca di senso e natura
Un grand cru può giocare la carta della fantasia? Un vino naturale può vestirsi in modo classico? La risposta è sì, ma con finezza. “Al di là degli effetti di moda, la libertà grafica si esprime all’interno di parametri chiari per i consumatori, che si sono soprattutto stancati della mancanza di significato. Quando un’etichetta è davvero riuscita, trasmette qualcosa di giusto. Racconta cosa c’è dentro la bottiglia, come è stata realizzata e con quale intenzione, che sia colorata o minimalista”. Un’altra tendenza è la crescente consapevolezza ecologica. Ma attenzione alle semplificazioni. Essere responsabili non significa necessariamente scegliere carta riciclata con un’impronta carbonio discutibile. “La vostra filosofia principale è quella di essere virtuosi o… di fare un buon prodotto tenendo conto di un certo numero di parametri?”, chiede Sophie Javel, citando varie opzioni: carta più sottile, inchiostro a base d’acqua, nessuna doratura, etichette facilmente rimovibili e forme di bottiglie che consentono il riciclaggio. Una sobrietà a volte invisibile, ma coerente. Anche il linguaggio visivo sta evolvendo: meno rappresentazioni dei tradizionali châteaux, soprattutto nella regione di Bordeaux, e più paesaggi “per collocare la vite in un ecosistema e mostrare che è radicata in un ambiente vivo”.
Innovazione strategica
La tecnologia è parte del packaging: codici QR obbligatori per le nuove informazioni normative, spesso abbinati a un codice QR più narrativo che conduce a un sito web, realtà aumentata, ecc. Ma questi usi rimangono marginali. “Il legame tra l’etichetta fisica e la tecnologia digitale diventerà senza dubbio più forte. Tuttavia, la modernità non si trova più nell’innovazione tecnica, ma nella combinazione intelligente di elementi che rendono il tutto significativo“, conclude Sophie Javel. L’innovazione sta diventando una questione di assemblaggio, proprio come il vino stesso, e le etichette oggi cristallizzano questioni che vanno ben oltre la semplice presentazione del prodotto. Non voltano le spalle alla tradizione ma la aggiornano tenendo presente le nuove aspettative: più significato, più sincerità, più responsabilità. Alcune aziende ne hanno fatto un’arte a sé. Dal 1945, ogni anno Château Mouton Rothschild affida l’etichetta della sua nuova annata a un artista diverso. Per l’annata 2022, Gérard Garouste ha accettato la sfida. Oggetto da collezione e strumento di marketing, un semplice rettangolo di carta a volte vale più di mille parole.
Florence Jaroniak. © Taka/AdobeStock
Maggiori informazioni:
https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010073861
https://news.wsu.edu/press-release/2024/10/01/women-more-likely-to-choose-wine-with-feminine-labels